8 Marzo, donne e lavoro

 Storia di Rosina, l'italiana che ispirò il famoso manifesto femminista

di Valentina Fornelli

 

È uno dei manifesti più famosi della storia: una donna, vestita con una tuta da operaia e con i capelli neri raccolti da un foulard, si rimbocca una manica mostrando un braccio forte e guardando dritto verso lo spettatore; la sua espressione è seria e determinata e sopra di lei compare la scritta “We Can Do It!”.

Pochi però conoscono la storia della donna che ha ispirato il manifesto, una storia che ci riporta indietro di più di 70 anni e che ci parla di un'epoca lontana, quella della grande emigrazione italiana negli Stati Uniti. Rosina Bonavita era una delle migliaia di operaie che, allo scoppio della seconda guerra mondiale, sono entrate in fabbrica per sostenere l'industria bellica statunitense al posto degli uomini, partiti per il fronte.

Era talmente brava e instancabile da stabilire un record: insieme a una collega, costruisce l'ala di un aereo in sole 4 ore e 10 minuti.

 

 

In tempi difficili c'è bisogno di simboli, e Rosina era perfetta per rappresentare il patriottismo e la dedizione richiesti alle lavoratrici statunitensi. La sua storia diventa famosa e ispira una canzone e diversi poster, tra cui quello di cui parliamo, creato dall'artista J. Howard Miller (anche se il volto del manifesto non è quello di Rosina, ma quello di una modella). Proprio come il minatore Stakhanov in Unione Sovietica, Rosina diventa un esempio da imitare e i suoi manifesti vengono appesi nelle fabbriche.

 

Allora come mai questa immagine così patriottica oggi ha un significato diverso ed è collegata al femminismo? I manifesti di Miller e di altri artisti di propaganda sono dimenticati per quarant'anni, fino a quando, negli anni '80, qualcuno li ripesca e li espone. Gli anni della guerra sono lontanissimi, e l'immagine di Rosina è così potente ed efficace che il movimento femminista la fa propria. Da allora Rosina non rappresenta più il patriottismo, ma la lotta delle donne per la conquista dell'uguaglianza.

 

Un'uguaglianza che vede l'Italia ancora molto indietro. Meno della metà delle donne italiane lavora, cifra ancora più bassa per le donne con un partner e dei figli. Le lavoratrici ricevono una paga oraria più bassa, in media del 6,5% e hanno contratti peggiori. Il 40% del totale dei lavoratori sono donne, ma se si parla di contratti di lavoro precario, la quota delle donne sale al 50%. In particolare, il 28% delle giovani donne lavora con contratti “atipici” (cioè senza protezione in caso di malattia o maternità), contro il 18% per gli uomini. Non solo, ma le donne hanno maggiori probabilità di fare un lavoro che non valorizza il loro titolo di studio.

Sia quando lavorano che quando non lavorano, le donne svolgono ancora la maggior parte del lavoro domestico e di cura: ben 36 ore alla settimana contro le 14 ore degli uomini, una differenza che non ha eguali in nessun altro paese industrializzato. Gli asili nido pubblici sono troppo pochi e accolgono solo il 12% dei bambini. Inoltre sono molto cari, perché costano in media 311 euro al mese. Guardando questi dati, è facile capire perché l'Italia abbia uno dei tassi di natalità più bassi del mondo (1,38 figli per donna) e perché tante donne con figli finiscano per lasciare il loro lavoro (di solito mal pagato). Insomma: abbiamo ancora tanta strada da fare. Ci vorrebbe proprio uno dei jet di Rosina.